Immaginare un bambino, senza i genitori, a tu per tu, in seduta da uno psicologo, non è così poi tanto difficile: al giorno d’oggi è diventato sempre più frequente che, quando un bambino mostra quelli che appaiono comportamenti incomprensibili e a volte inaccettabili (aggressività, mancanza di voglia di studiare, paura di andare a scuola, ansia da prestazione…), lo si porti in terapia per essere “aggiustato“.

È come se si ritenesse che ci sia qualcosa all’interno del bambino che non funzioni correttamente e che lo specialista abbia la “formula magica” per far tornare tutto alla normalità.

Non è più logico e sensato pensare che egli non sia altro che una specie di “catalizzatore” di tutto ciò che non funziona all’interno del sistema in cui è inserito?

Il nostro orientamento sistemico considera, infatti, la famiglia come una composizione di differenze, all’interno della quale, attraverso la conversazione, si costruiscono dei sistemi di significati condivisi. Il bambino cresce all’interno di tale conversazione e, attraverso l’interazione costante con i diversi membri della famiglia, partecipa attivamente alla costruzione e modificazione dell’orizzonte semantico familiare, ossia del modo in cui vengono attribuiti i significati sulla base di criteri salienti per quella determinata famiglia. Il bambino, infatti, acquisisce in maniera precoce le competenze relazionali necessarie a restare collegato al proprio sistema di appartenenza e lo stesso sviluppo cognitivo viene mediato dalle relazioni affettive e sociali con gli adulti di riferimento.

È diventato ormai un luogo comune dire che “i bambini assorbono tutto“, anche se questa espressione viene solitamente utilizzata in senso positivo, ad indicare le straordinarie capacità di apprendimento se i piccoli sono esposti ai giusti stimoli. Ovviamente, però, questo vale anche se essi sono esposti a tensioni e criticità all’interno del sistema-famiglia.

Il sintomo manifestato è spesso, allora, il tentativo inconsapevole e istintivo di “farsi carico” di ciò che non va, di portare allo scoperto ciò che in famiglia viene taciuto.

Secondo questa ottica, i problemi di sviluppo e la psicopatologia infantile si riferiscono a messaggi confusi e ambivalenti tra i membri del sistema familiare che spesso creano difficoltà a livello relazionale e che quindi generano malessere. I sintomi o i comportamenti preoccupanti del bambino spesso rappresentano, infatti, un tentativo di soluzione di queste difficoltà relazionali in cui sono coinvolti tutti i membri della famiglia.

Con tali premesse appare dunque quasi lampante che limitarsi a prendere in carico solo il bambino, significa negare il fatto che il sintomo che egli manifesta è in realtà il sintomo di una problematica assai più ampia che coinvolge l’intera famiglia: l’ovvia conclusione è che sia l’intero sistema-famiglia a dover farsi carico della criticità e a recarsi in terapia.

Solo così l’unità di osservazione del terapeuta potrà essere non solo il singolo individuo, ma tutte le persone in conversazione: attraverso la ricostruzione di un quadro chiaro e complesso delle dinamiche che hanno portato alla comparsa del sintomo, potrà avviare un processo di cambiamento della conversazione familiare attraverso cui sarà possibile ripristinare una condizione di benessere.

Alessia Galli e Silvia Grossi – Psicologhe