Un divano con una persona sdraiata e un terapeuta seduto in poltrona che prende appunti: nell’iconografia tradizionale è ancora questa l’immagine che spesso viene in mente quando si pensa ad una seduta di psicoterapia. Si tratta però di un luogo comune da tempo sfatato e sicuramente non è quello a cui si assisterebbe se, di nascosto, qualcuno spiasse una delle sedute di terapia nel nostro centro.

Anzitutto non c’è un lettino, ma sedie disposte a semicerchio senza ostacoli che distanzino i pazienti dal terapeuta; sedie, al plurale, perché nel nostro approccio il focus viene posto sul contesto familiare: agli incontri, perciò, non viene sempre convocata solamente la persona che manifesta il malessere, ma spesso si estende l’invito anche alle figure significative all’interno della famiglia.

Il nostro approccio terapeutico considera, infatti, la famiglia come una composizione di differenze, all’interno della quale, attraverso la conversazione, si costruiscono dei sistemi di significati condivisi. L’individuo cresce all’interno di tale conversazione e, attraverso l’interazione costante con i diversi membri della famiglia, partecipa attivamente alla costruzione e modificazione dell’orizzonte semantico familiare, ossia del modo in cui vengono attribuiti i significati degli eventi sulla base dei criteri salienti per quella determinata famiglia.

Questa è la ragione per cui per noi è importante conoscere i punti di vista di tutti in modo da comprendere che cosa il sintomo ci stia rivelando in quel preciso momento e in quel preciso contesto familiare. Questo diventa fondamentale quando a mostrare il malessere è un bambino o un adolescente, che per definizione è molto dipendente dalla famiglia.

Un’altra decisiva differenza rispetto all’immagine iniziale è che il terapeuta non è uno, ma sono due: chi conduce la seduta e chi osserva da dietro uno specchio; in questo modo è possibile avere una visione più completa e complessa delle dinamiche relazionali in gioco.

Durante la seduta può accadere che il terapeuta esca dalla stanza di terapia per consultarsi con il collega sugli aspetti salienti emersi. A supporto dei due terapeuti, inoltre, ogni seduta viene audio-video registrata, con il consenso della famiglia, al fine di ridurre le possibilità di errore.

Altro luogo comune da sfatare: la terapia che non finisce mai. Nel nostro approccio, il percorso ha una durata ben definita e limitata nel tempo: quasi mai si supera un anno di lavoro e gli incontri non hanno quasi mai cadenza settimanale. Questo perché pensiamo che la vita del paziente si svolga al di fuori della stanza di terapia ed è lì che avvengono i cambiamenti.

I primi incontri servono a raccogliere le informazioni per permettere ai terapeuti di pervenire ad una visione più completa possibile della situazione presente. Al termine di questa fase, viene data una restituzione rispetto al problema portato e viene formulata una proposta terapeutica con obiettivi e modalità di lavoro. Tutti gli incontri successivi avranno come finalità l’attivazione di un processo di cambiamento per il raggiungimento della remissione del sintomo.

Alessia Galli e Silvia Grossi – Psicologhe ad orientamento sistemico familiare