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Corso di formazione per Avvocati

Corso di formazione per Avvocati

Mercoledì 31 Maggio 2017, dalle 15,30 alle 18,30, presso la Sala Consiliare del Municipio, Piazza Cesare da Sesto 1, Sesto Calende (VA), si svolgerà il Corso di formazione “Diritto di Famiglia: la mediazione familiare ed il ruolo dello psicologo giuridico quale consulente di parte“, organizzato da Centro Tandem.

Il Corso è rivolto agli avvocati del foro di Busto Arsizio, e si pone l’obiettivo di mettere in luce le specificità, le funzioni ed i significati del mediatore familiare e dello psicologo giuridico all’interno del complesso sistema del Diritto di Famiglia.

Relatori:

Cecilia Pecchioli – Psicologa Giuridica, già CTU e CTP del foro di Milano sia in materia civile che penale, Responsabile Area Giuridica di Centro Tandem.

Francesca Piatti – Mediatrice Familiare, membro esperto Area Giuridica di Centro Tandem.

Chiara Mussi – Avvocato del foro di Busto Arsizio.

l’Ordine degli Avvocati di Busto Arsizio ha concesso n.1 crediti formativi.

Il Corso è gratuito, per partecipare è necessario inviare una mail a info@centrotandem.it

Con gli occhi di un figlio

Con gli occhi di un figlio

Sono uno dei tanti bambini che sta per affrontare la separazione dei miei genitori; ecco come vivrò questa esperienza.

In maniera quasi universale, la mia prima reazione alla separazione dei miei genitori sarà quella di iniziare ad alimentare un forte desiderio di vedere mamma e papà riuniti; non so come, ma farò in modo che ciò accada.

Essendo piccolo, mi sentirò responsabile della rottura dei miei genitori e di conseguenza tenderò ad autoaccusarmi: inizierò così a provare sensi di colpa che si manifesteranno in comportamenti che potranno portare a una punizione da parte dei miei genitori. Per esempio, potrei rompere il mio giocattolo preferito. In questo caso lo farei per autopunirmi e non per aggressività, come i miei genitori sono portati a credere.

Potrei manifestare dei cambiamenti a livello comportamentale: chiusura nei confronti dei miei pari, scarso rendimento scolastico, aggressività. A livello emotivo potrei manifestare tristezza, rabbia, vergogna…

Come possono i miei genitori affrontare la separazione senza nuocermi?

Come possono i miei genitori accompagnarmi in questa fase di cambiamento cercando di attenuarne gli effetti negativi?

E’ importante parlarmi tenendo conto dei miei limiti. Non posso capire se mi dite che vi separate perchè non andate più d’accordo. Se ad esempio mi dite che mamma e papà non vanno più d’accordo, litigano continuamente e per questo vogliono separarsi, io penserò: “Anch’io però litigo con il mio fratellino, però restiamo insieme lo stesso“.

E allora come devono parlarmi i miei genitori?

La prima cosa da fare è certamente quella di comunicare e spiegarmi cosa sta accadendo tra mamma e papà, rassicurandomi che non sono la causa della loro separazione e che questa separazione non implicherà la fine del rapporto con uno dei miei genitori.

E’ importante che la comunicazione venga fatta da entrambi i miei genitori: in questo modo sarò scoraggiato dal convincere il genitore assente a cambiare idea. Potete anche dirmi che è normale desiderare che mamma e papà tornino insieme, ma che la decisione è definitiva.

Ho bisogno di un dialogo sincero ed empatico. Sicuramente non potrete spiegarmi il perché della vostra separazione, ma è molto importante che mi parliate e mi diciate cosa mi succederà, rispondendo alle mie domande in modo comprensibile.

Quello che per me è importante è sapere come vivrò questa esperienza. La promessa che “papà verrà a trovarmi ogni fine settimana” per me ha poco senso. Sono troppo piccolo per capire queste dimensioni temporali. La cosa importante che devo capire è che papà verrà a trovarmi e che mi chiamerà spesso. La sensazione che devo avere è “Anche se mamma e papà non staranno più insieme, per me non cambierà niente”.

Dovrete anche incoraggiarmi ad esprimere le mie emozioni e le mie idee rispetto a quanto sta accadendo, facendomi sentire accolto e chiarendo eventuali “idee sbagliate” che mi sono fatto.

Tenetemi fuori dai vostri conflitti! Evitate di farmi assistere ad eventuali litigi e discussioni, ma soprattutto non mettemi in cattiva luce l’altro genitore.

Smettetela di utilizzarmi come “braccio armato” e come ambasciatore di comunicazioni all’altro genitore o tantomeno non consideratemi il vostro “confidente” rispetto alle vostre questioni sentimentali.

Le vostre decisioni non dovranno destabilizzarmi. Soprattutto nelle decisioni organizzative, cercate di collaborare insieme per trovare una soluzione quanto più favorevole per il mio benessere. Cercate anche di alterare il meno possibile le mie routine giornaliere: in un mio momento di destabilizzazione, rappresentano dei punti di riferimento sicuri.

E se è davvero difficile, fatevi aiutare!

Per un genitore può essere difficile cercare di attuare questi comportamenti, soprattutto qualora vi sia un conflitto coniugale ancora molto acceso oppure una difficoltà anche personale legata alla fine del matrimonio.

In questi casi, è bene ricercare un aiuto esterno, quale quello di uno psicologo o di un mediatore familiare: per aiutare i figli a capire cosa sta succedendo, per riattivare dei processi di comunicazione e collaborazione con l’altro genitore…

L’obiettivo principale resta sempre la tutela del benessere dei figli.

Il bambino in terapia

Il bambino in terapia

Immaginare un bambino, senza i genitori, a tu per tu, in seduta da uno psicologo, non è così poi tanto difficile: al giorno d’oggi è diventato sempre più frequente che, quando un bambino mostra quelli che appaiono comportamenti incomprensibili e a volte inaccettabili (aggressività, mancanza di voglia di studiare, paura di andare a scuola, ansia da prestazione…), lo si porti in terapia per essere “aggiustato“.

È come se si ritenesse che ci sia qualcosa all’interno del bambino che non funzioni correttamente e che lo specialista abbia la “formula magica” per far tornare tutto alla normalità.

Non è più logico e sensato pensare che egli non sia altro che una specie di “catalizzatore” di tutto ciò che non funziona all’interno del sistema in cui è inserito?

Il nostro orientamento sistemico considera, infatti, la famiglia come una composizione di differenze, all’interno della quale, attraverso la conversazione, si costruiscono dei sistemi di significati condivisi. Il bambino cresce all’interno di tale conversazione e, attraverso l’interazione costante con i diversi membri della famiglia, partecipa attivamente alla costruzione e modificazione dell’orizzonte semantico familiare, ossia del modo in cui vengono attribuiti i significati sulla base di criteri salienti per quella determinata famiglia. Il bambino, infatti, acquisisce in maniera precoce le competenze relazionali necessarie a restare collegato al proprio sistema di appartenenza e lo stesso sviluppo cognitivo viene mediato dalle relazioni affettive e sociali con gli adulti di riferimento.

È diventato ormai un luogo comune dire che “i bambini assorbono tutto“, anche se questa espressione viene solitamente utilizzata in senso positivo, ad indicare le straordinarie capacità di apprendimento se i piccoli sono esposti ai giusti stimoli. Ovviamente, però, questo vale anche se essi sono esposti a tensioni e criticità all’interno del sistema-famiglia.

Il sintomo manifestato è spesso, allora, il tentativo inconsapevole e istintivo di “farsi carico” di ciò che non va, di portare allo scoperto ciò che in famiglia viene taciuto.

Secondo questa ottica, i problemi di sviluppo e la psicopatologia infantile si riferiscono a messaggi confusi e ambivalenti tra i membri del sistema familiare che spesso creano difficoltà a livello relazionale e che quindi generano malessere. I sintomi o i comportamenti preoccupanti del bambino spesso rappresentano, infatti, un tentativo di soluzione di queste difficoltà relazionali in cui sono coinvolti tutti i membri della famiglia.

Con tali premesse appare dunque quasi lampante che limitarsi a prendere in carico solo il bambino, significa negare il fatto che il sintomo che egli manifesta è in realtà il sintomo di una problematica assai più ampia che coinvolge l’intera famiglia: l’ovvia conclusione è che sia l’intero sistema-famiglia a dover farsi carico della criticità e a recarsi in terapia.

Solo così l’unità di osservazione del terapeuta potrà essere non solo il singolo individuo, ma tutte le persone in conversazione: attraverso la ricostruzione di un quadro chiaro e complesso delle dinamiche che hanno portato alla comparsa del sintomo, potrà avviare un processo di cambiamento della conversazione familiare attraverso cui sarà possibile ripristinare una condizione di benessere.

Alessia Galli e Silvia Grossi – Psicologhe